La festa di Venere nel mese di Marte – Il femminismo che vorrei

Ho avuto una grande fortuna nella mia vita: sono nata in una famiglia in cui nessuna diversità è stata mai neanche sottolineata. Abbiamo sempre parlato di persone, mai di maschi, femmine, eterosessuali, omosessuali, dottori, contadini, borghesi, drogati, normali, handicappati, strani. Non sono stata cresciuta a compartimenti stagni (e forse è per questo che poi ho passato la vita a cercare un modello di mondo e qualche legge che costituisse una certezza, ma questa è un’altra storia).

I genitori di mio padre erano una coppia fuori dal tempo, unita da un amore profondo e da un ancor più profondo rispetto. Mio nonno era un uomo esile, canuto, taciturno e tranquillo, profondamente buono ma a tratti scosso da una rabbia isterica, bagaglio a spalla di una vita difficile. Sua moglie, al contrario, era un donnone vulcanico dalla risata contagiosa e l’abbraccio facile, amorevole e combattente, forte e gentile come il miglior abruzzese. Qualche tempo fa avrei detto che era lei a comandare in famiglia, ma mi sbagliavo: nessuna decisione veniva presa senza che ci fosse il democratico consenso di entrambi, nel nucleo familiare ricoprivano ruoli differenti e differentemente svolti ma ugualmente importanti, erano in grado di scambiarsi gesti sinceri d’amore e affetto e mantennero fino alla vecchiaia ognuno la propria indipendenza e i propri spazi senza mai prevaricare l’uno sull’altro, né per ruolo, né per carattere.

Lei lavorava, guidava, gestiva il denaro e contemporaneamente accudiva i figli e poi i nipoti con immenso affetto. Non aveva bisogno di architettare strategie per sentirsi al pari di suo marito o di qualunque altro uomo: non vestiva da maschio, non parlava da maschio, non c’era in lei il senso di rivalsa di chi sa di essere inferiore e vuole cambiare la propria condizione. Era semplicemente consapevole di non esserlo, e per questo non si sottometteva né sottometteva gli altri. Ho passato la mia infanzia e la mia adolescenza conoscendo l’assoluta normalità di essere diversi per natura e uguali per valore.

Allo stesso modo mia madre e mio padre hanno vissuto e vivono in assoluta parità: due caratteri diversi, due ruoli diversi, nessuno dei due ha mai deciso per entrambi.

Per tutta la vita ho visto le mie figure di riferimento comportarsi e trattarsi vicendevolmente da pari. In un mondo in cui erano frequenti le famiglie costituite da padri dal pugno di ferro e madri amorevoli e tranquille, vedevo allo stesso modo le mie, di famiglie, in cui i caratteri erano diversamente assortiti e regnava il rispetto. Pensavo pertanto, con la semplicità deduttiva di chi conosce poco il mondo, che fosse così in ogni famiglia, e che l’assegnazione casuale dei caratteri non determinasse il alcun modo la superiorità di un membro su un altro.

Non ho mai sentito i miei genitori dirmi “non vestirti da maschio, non parlare come un maschio, stai seduta da femminuccia, gioca con le femminucce, questo non è un cartone animato da femminucce, devi rientrare prima del tuo amico perché tu sei femmina e lui è maschio, non andare in giro da sola coi maschi perché poi la gente cosa pensa, non dire a nessuno che hai il ciclo, nascondi gli assorbenti, fammi controllare se ti sei sporcata, sei troppo scollata poi pensano che sei disponibile, cambi troppi fidanzati, scegli una facoltà da femmina, fai un lavoro da femmina”. Mai, mai, mai, nemmeno una volta, né loro né nessun altro.

Quando sentivo quelle frasi uscire dalla bocca di qualche amica o di qualche genitore mi veniva da ridere, ma che assurdità, saranno un po’ tocchi, dai. Con gli amici, a scuola e ovunque non ho mai fatto comunella con le femmine, non ho mai sentito la necessità della separazione o della ghettizzazione, non ho mai temuto di rapportarmi ai maschi, non ho mai avuto paura di parlare né ho mai pensato a nessuna cosa in termini di “è una cosa da maschi/è una cosa da femmine”. Mio nonno sapeva cucire, mia nonna sapeva piantare i chiodi e liberarsi dei topi, mia madre sa usare il trapano e camminare coi tacchi sui sanpietrini, e io non ho mai sentito alcuna differenza né sono mai stata in grado di percepire sulla mia pelle la discriminazione. Non ho mai preso in considerazione l’idea che mi trattassero in un certo modo perché donna. Potevo essere antipatica, poco conforme, poco sociale, qualunque ragione logica poteva essere alla base del mio essere messa da parte, poco considerata o sbeffeggiata. Ma l’organo sessuale che avevo fra le gambe, o il modo in cui gestivo il mio genere d’appartenenza? Impossibile.

Poi sono arrivata all’università, per giunta nell’ambiente maschile per eccellenza, quello dell’ingegneria. Ho conosciuto professori capaci di dire in faccia agli studenti che le donne valgono meno, che non saranno mai valide come i colleghi uomini,  che finché porteranno la gonna nessuno  le prenderà sul serio, che stanno bene nel corso di gestionale perché l’economia è l’unica cosa che fa per loro, ancor meglio se domestica. Li ho sentiti dire “tu e il tuo collega siete andati ugualmente bene, ma tu sei donna e quindi se a lui 30, a te 29”.

Sono cresciuta e ho conosciuto la discriminazione. Per i colleghi uomini la mia opinione non contava nulla e la stessa opinione espressa da un altro uomo era oro colato. Ho litigato, mi sono infuriata mentre dentro di me si mescolavano rabbia e incredulità. Ho iniziato a sentire che mi veniva richiesta una sorta di “energia di attivazione”: dovevo dimostrare, con un piccolo ulteriore boost, di essere capace di arrivare al livello minimo di capacità nonostante fossi donna per poter essere successivamente comparabile con gli uomini.

E poi le mani sul sedere in autobus, le amiche che prendevano le prime sberle, i casi di violenza sessuale commentati con “chissà com’era vestita”, “prima fate le troie e poi vi lamentate” e similarità che conosciamo, conoscete tutti molto bene.

Oggi è l’8 Marzo e ne abbiamo ancora un disperato bisogno.

Non di fiori, se non li amiamo, né di regali o contentini. Non abbiamo bisogno di elenchi di figure femminili grandi e capaci come fossero scimmie che hanno imparato a contare. Non abbiamo bisogno di spogliarelli o di stupidaggini, né di sentirci dire banalità. Non siamo speciali, dolci, gentili, premurose. Alcune lo sono, altre no, proprio come gli uomini, proprio come le persone. Non abbiamo bisogno di fare i maschi per sentirci al loro livello, non sono le differenze biologiche a stabilire la differenza di valore. Ognuno fa quel che vuole, ognuno fa quel che gli piace, ogni persona,ogni uomo e ogni donna, perché ogni PERSONA è uguale.

Abbiamo bisogno di imparare che la violenza è sbagliata in ogni caso, ma la violenza perpetrata verso qualcuno solo perché questi è femmina, omosessuale, nero, giallo, rosso, verde o blu, è ancora più sbagliata.

Abbiamo bisogno di pari diritti e pari salari. Pari. Salari.

Abbiamo bisogno di uno stato, di una scuola e di famiglie che insegnino alla loro prole che non sono le donne a non dover provocare, ma i maschi a dover capire che nessuna donna può essere toccata o comandata contro il suo volere. Abbiamo bisogno che si smetta di insegnare che la donna sta a casa a pulire e il marito a lavorare, ma che “nonostante” questo la donna va rispettata. Dobbiamo insegnare, ed è una necessità urgente, che i ruoli possono essere divisi, scambiati, palleggiati, che ognuno è come è, indossa ciò che vuole, dice quel che vuole, ha il linguaggio che vuole, fa il mestiere che vuole e che ogni persona ha il diritto di essere rispettata in quanto tale. Che ognuno, uomo o donna, appartiene a se stesso.

Dobbiamo diventare consapevoli di essere uguali. Auguro a tutti questo femminismo, quello profondo che non scorge differenze, non punta il dito, non deve più dimostrarsi ma solo affermarsi. E sono certa che da quel punto in poi tutto il resto verrà da sé. La violenza di genere, la violenza verbale, l’indignazione per un seno scoperto da una scollatura e l’IVA sugli assorbenti come beni di lusso, tutto questo verrà spazzato via dall’educazione e dalla consapevolezza che diverso ruolo o diverso carattere non significa diverso valore.

Questa è la nostra battaglia, questa è la battaglia di oggi. Auguri a tutti quelli che lo sanno già e soprattutto a chi deve ancora impararlo.

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